domenica 2 agosto 2015

"Milano odia: la polizia non può sparare" ma spara lo stesso

«Ragazzi, qua c'è una sola cosa che conta: o i soldi tu ce l'hai e sei qualcuno, o non ce l'hai e sei una pezza da piedi.»

Milano odia: la polizia non può sparare ha come protagonisti un giovane sociopatico stanco di essere povero e un non tanto giovane commissario sociopatico stanco di non poter ammazzare la gente.
Il giovane sociopatico in questione si chiama Giulio Sacchi (interpretato da Tomas Milian), un piccolo criminale della Milano degli anni '70 che si guadagna da vivere con piccoli delitti, come accoltellare una guardia notturna che lo ha sorpreso a scassinare un distributore di sigarette o sparare ad un vigile urbano che lo minaccia di multa per divieto di sosta.
Giulio, però, vuole diventare ricco ed è convinto che il lavoro non sia la strada giusta:


«Vendere la vita otto ore al giorno tutti i giorni finché strisci i piedi verso un ricovero della mutua. Mentre c'è in giro gente come il padrone tuo che fa un sacco di miliardi e li mette tutti in Svizzera.»

Piuttosto, metodi più efficaci sono giocare al Totocalcio, Canzonissima o l'enalotto, o semplicemente il sequestro di persona. Ovviamente Giulio sceglie il sequestro e individua la sua preda proprio nella figlia del padrone, Marilù.

Le azioni criminali di Giulio, sono spinte da una società in cui lo status sociale è determinato dalla ricchezza posseduta.
Durante il tentato sequestro Marilù riesce a scappare e si rifugia in una lussuosa villa dove chiede aiuto a quattro ricchi borghesi viscidi vigliacchi rincoglioniti (un ragioniere effeminato e un vecchio mezzo ubriaco, con le loro rispettive mogli).
I quattro non fanno il minimo sforzo per ascoltare gli avvertimenti della ragazza sul chiudere porte e finestre e si ritrovano la banda di sequestratori armata in casa. Ovviamente da bravi cittadini cercano di difendere Marilù. Il più coraggioso e benevolo è il ragioniere: «Che volete da noi? Se è per la ragazza, noi nemmeno la conosciamo. Sentite, noi non diremo niente, portatevi via questa ragazza, vi prego!»
Poi tocca al vecchio mezzo ubriaco: «Ragazzi, se serve un po' di grana posso pagare». Giulio non ci pensa due volte e massacra quest'ultimo a mitragliate.


«Sentite un po', io non so se siete d'accordo. A me ha fatto sempre un po' schifo la gente che vive solo per i soldi. Ci sono altri valori nella vita, no? Per esempio... l'amore universale! Conoscete l'amore universale?»

Giulio per amore universale intende costringere i tre superstiti a praticare una fellatio a tutti i componenti della banda. Il protagonista sceglie per sé il ragioniere e, agli inutili tentativi di opposizione di quest'ultimo, dichiara di essere «per la parità dei sessi».
L'avventura in villa termina con i ricchi borghesi appesi come carne da macello al lampadario e con Giulio Sacchi che riesce a sequestrare Marilù.
Colui che dovrebbe fermare questi efferati crimini è il sopracitato non tanto giovane commissario Walter Grandi. Costui è un uomo indignato che trasuda impotenza. Non fa altro che lamentarsi di come la polizia non ha il minimo potere sui criminali:


«Purtroppo riusciamo a prenderli di rado e quando li prendiamo, li sbattono fuori in 24 ore. Sta' tranquillo che quello stanotte si frega di nuovo una macchina e se magari una guardia notturna lo pizzica, una coltellata e via. Ma ti giuro che se ne becco uno io, invece di arrestarlo gli sparo!»


Il commissario Grandi durante il pacifico esercizio dei suoi doveri.
Nel film, il commissario Grandi, inspiegabilmente, riesce a capire che l'autore degli efferati crimini è Giulio Sacchi. Non ha prove, non ha testimoni, ma è estremamente sicuro della sua colpevolezza.
Nel frattempo, Giulio Sacchi riesce a portare a termine il sequestro, si intasca il riscatto e uccide Marilù. Il commissario appena si accorge che gliel'hanno fatta sotto il naso, si offende. Dice a tutti che secondo lui il colpevole è Giulio Sacchi, ma tutti continuano a ridergli in faccia per l'evidente mancanza di prove.
Il commissario, non potendo arrestare Giulio, decide arbitrariamente di condannarlo a morte e di eseguire pubblicamente la condanna.

Milano odia: la polizia non può sparare fa parte di quel filone di film polizieschi degli anni '70, in cui la polizia è ingabbiata in un sistema giudiziario (a detta di molti troppo garantista) e  quindi per far giustizia, usa metodi non convenzionali. L'abbigliamento del commissario Grandi non è causale, e ricorda molto quello di un suo più celebre collega, il commissario Calabresi. Luigi Calabresi era il commissario della questura di Milano e veniva chiamato "commissario finestra" perché per intimorire i sospetti durante gli interrogatori, li faceva sedere a cavalcioni sul davanzale della finestra. Qualche anno prima della realizzazione di questo film, dalla finestra del commissario, cadde Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico accusato della strage di Piazza Fontana (accusa poi rivelatasi totalmente infondata).

Il commissario Luigi Calabresi.
Questo film mette in evidenzia l'arbitrarietà del potere che le forze dell'ordine esercitano. Giulio Sacchi era colpevole, ma questo lo sa lo spettatore che l'ha visto mentre commetteva quei crimini, non lo può sapere il commissario che tra l'altro non ha neanche una prova. L'esecuzione sommaria eseguita dal commissario è di fatto un abuso della sua autorità, esercitata arbitrariamente ed esacerbata da una evidente antipatia personale verso l'indiziato. 

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