martedì 26 maggio 2015

"I desideri sono già ricordi": Italo Calvino, le città e la memoria

«Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d'una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole».

Le città invisibili, racconta Calvino nella Prefazione, è un libro che si è scritto un po' per volta, all'inizio in modo disorganico e casuale, poi secondo uno schema più regolare e nitido. Calvino usava scrivere così, una pagina ora, sul tema degli animali; una più tardi, sulla natura o sugli oggetti. Catalogava poi i testi sciolti, li raggruppava in cartelle tematiche da cui avrebbe poi tratto un libro, se i fogli volanti fossero diventati un numero consistente. La cartella che aveva adibito a raccoglitore per il tema città iniziava a riempirsi e così nacque l'idea del libro come noi lo conosciamo: le città raccontate (città inventate ed impossibili, ognuna con un nome di donna e uno spunto di riflessione da offrire) vennero divise per serie. Si arriverà a 11 serie da 5 città: alcune serie vengono soppresse e scorporate in altre (le città e la forma, le città duplici); due serie vengono pensate a tavolino per completare il progetto ormai formato e realizzate apposta (le città nascoste e quelle continue); ma alcune serie (le città e la memoria, le città e il desiderio, le città e i segni) si impongono subito nella scelta per la sistematizzazione, sono le prime ad essere fissate e rimangono presenti e solide fino alla struttura finale del libro. Le città sottili sono forse "la zona più luminosa del libro" e i corsivi tra Marco Polo e Kublai Kan (pretesto narrativo che introduce le relazioni di viaggio sulle città invisibili) sono un po' trascurate da lettori e critici ma rivendicate da Calvino come luogo privilegiato di interrogativi e discussione; ma le prime tre serie di città, sono le più importanti.

Il critico psicoanalitico G. Bonura (nella recensione "Le città invisibili ovvero il «corpo» di Calvino", 1973) trovò un senso particolare del libro nella rievocazione di Marco Polo, «come un ritorno ai primi archetipi della memoria». Le città e la memoria sono una serie speciale: 4 racconti su 5 della serie sono raccolti nella prima decina (la suddivisione in decine è quella espositiva ma anche quella che rispecchia a grosse linee l'ordine in cui i racconti sono stati scritti). Il tema della memoria sembra preminente anche rispetto al desiderio e ai segni, è quello che viene sviluppato ed esplorato per primo. Ed è un tema speciale perché le città sono fatte soprattutto di memoria: la memoria è il materiale di cui le città, strato su strato, si compongono. La città non è, di solito, edificata da un giorno all'altro: la città medievale si
edifica su quella greca e romana, quella gotica slancia le sue guglie dove il panorama era segnato da masti massicci, la città moderna inaugura i suoi café e i suoi atelier negli edifici che ospitarono magazzini o che si affacciavano sui mercati del pesce, fino agli skyline che convivono spesso negli stessi quartieri di vecchi palazzi signorili o di monumenti segnati dalle intemperie. Anche il nome della città attraversa i secoli e sopravvive alle dominazioni, cambiando accento, cambiando grafia. Il presente rimodella la forma della memoria - corporea, solida, opaca - e la supera solo portandola dentro di sé. Il passato si annida nella città attuale e conserva nei propri dettagli, nei propri resti, tracce di altri passati come in un frattale.
Maurilia era una cittadina provinciale, raccontata solo nelle cartoline illustrate, e oggi è una metropoli: la dialettica tra vecchio e nuovo è l'equilibrio tra il presente e la memoria. Si rimpiange la ridente Maurilia di un tempo, la si ricorda con nostalgia, se ne rievoca la grazia e la familiarità, ma lo si può fare solo perché oggi Maurilia conosce cavalcavia, fabbriche di esplosivi, stazioni degli autobus. Se il nuovo non avesse inghiottito e conservato - diverso - il vecchio, Maurilia sarebbe sempre e solo una cittadina di provincia e nessuno la troverebbe graziosa, né ridente, né la farebbe oggetto di dolci ricordi. È la presenza materiale del passato che fa vivere la città, e la vita e la trasformazione sono ciò che la conservano, che le impediscono di farsi una morta palude stagnante. Zora è l'unica città che resta sempre uguale a sé stessa. Chi ha conosciuto Zora è diventato un uomo sapiente, perché come Cicerone ha collegato i suoi loci ad avvenimenti storici, a costellazioni, a parti di discorsi, e ha potuto così mandarli tutti a memoria. Ma quella che sembra la maniera più concreta di conservare il passato, ossia conservarlo proprio così com'è, ha il solo risultato di atrofizzarla, sclerotizzarla, impagliarla: «Obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l'ha dimenticata».

«A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c'è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi».

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