sabato 23 maggio 2015

Il diritto al delirio e il nuovo mondo possibile: Eduardo Galeano

Poco più di un mese fa scompariva Eduardo Galeano. Non tutte le sue opere sono reperibili in italiano, ma il suo nome è legato soprattutto al suo libro più famoso, Le vene aperte dell'America Latina. È il libro che il presidente venezuelano Chávez ha regalato a Obama in occasione di un loro incontro e che spero il presidente statunitense abbia ricevuto con un certo imbarazzo: un libro simbolo, che denuncia sfruttamento e miseria di un contintente martoriato, partendo dal funesto arrivo degli Europei cinque secoli or sono e passando per le sanguinarie dittature che gli USA hanno appoggiato, dall'Argentina al Cile, negli anni Settanta.
Ricordiamo Galeano rileggendo un suo piccolo testo, uno svolazzante manifesto del nostro diritto ad un'incertezza speranzosa e intraprendente: «Sebbene non possiamo indovinare il tempo che sarà, abbiamo per lo meno il diritto di immaginare quello che vogliamo che sia.» 
Il delirio allora, la fantasticheria, non sono che i nostri auspici su un mondo migliore a venire.
Scritto a cavallo dell'ingresso nel nuovo millennio, El derecho al delirio esordisce ironizzando sull'arroganza di alcuni uomini, che indicano il momento corrente come fatidico, epocale, segnato da attese e ansie millenaristiche appunto. L'ironia risiede nell'ovvia osservazione che, mentre per noi altri si era nel 2001, per i musulmani si era appena nel 1379, per gli ebrei già nel 5114. Il tanto atteso e festeggiato "nuovo millennio" era solo un'opinione sulla misurazione della storia, una convenzione senza corrispettivi di esistenza reale, uno dei tanti boriosi eurocentrismi che permeano il mondo. E come già accadde alla vigilia dell'anno 1000, deludendo le ansiogene e misticheggianti attese di Gioacchino da Fiore e di altri che attendevano chissà che fantastica parusia in occasione di una data tanto eccezionale, anche nel 2000 si realizzò un bel nulla condito di buoni propositi e ansie escatologiche.

 «Millennio va, millennio viene, l'occasione è propizia perché gli oratori di verbo infiammato pronuncino discorsi sul destino dell'umanità, e perché i portavoce dell'ira di Dio annuncino la fine del mondo e la deflagrazione generale, mentre il tempo continua, silenziosamente, il suo cammino lungo l'eternità e il mistero».

Se una data convenzionale non è nulla e il tempo si fa beffa di noi e delle boriose misurazioni che vogliamo darne, che resta di un nuovo millennio? La verità è che «non c'è nessuno che resista» a immaginarsi, solo l'indomani, già persone del millennio precedente; e a immaginare il millennio nuovo, totalmente nuovo, "delirante". Esercitando il nostro diritto a questo delirio pieno di speranza «andiamo ad appuntare lo sguardo più in là dell'infamia, per indovinare un altro mondo possibile», in cui «la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare», nessun ragazzo sarà costretto a compiere il servizio militare, «gli economisti non chiameranno "livello di vita" il livello di consumo, né chiameranno "qualità della vita" la quantità delle cose».
Se il nuovo millennio che immaginiamo con Galeano portasse con sé una diversa concezione delle persone e delle cose (le prime, non meri mezzi da sfruttare per poter accumulare le seconde), lo sfruttamento non sarebbe più considerato lecito e lo sfruttatore non sarebbe più considerato il modello vincente da emulare: il modello vincente sarebbe quello della dignità umana e della giustizia sociale. Giochiamo a usare il tempo futuro invece del condizionale: quando «il mondo non sarà più in guerra contro i poveri ma contro la povertà [...] nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà di indigestione».
«I bambini di strada non saranno trattati come se fossero spazzatura, perché non ci saranno bambini di strada» e «i bambini ricchi non saranno trattati come se fossero denaro, perché non ci saranno bambini ricchi».
«L'istruzione non sarà il privilegio di chi possa pagarla» e, specularmente, «la polizia non sarà la maledizione di chi non possa comprarla».
Nel mondo migliore, nel mondo diverso ma possibile che Galeano sognava ma non è vissuto abbastanza per vedere:

 «una donna, nera, sarà il Presidente del Brasile e un'altra donna, nera, sarà il Presidente degli Stati Uniti d'America; una donna india governerà il Guatemala e un'altra il Perù.
In Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, perché esse si negarono di dimenticare nei tempi dell'amnesia obbligatoria; la Santa Madre Chiesa correggerà gli errori delle tavole di Mosé [...] e detterà anche un nuovo comandamento [...]: "Amerai la natura, di cui fai parte".
Saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell'anima».

Il breve testo di Galeano può irritare, con la sua semplicità da letterina per Babbo Natale o la sua innocenza odorosa di pura utopia. Ma non è un manifesto programmatico, non è un trattato di sociologia o di economia: è solo l'esercizio di un diritto, quello a immaginare il momento in cui le piaghe del mondo (e specie dei mille sud del mondo) saranno guarite, in cui le vene aperte dell'America Latina saranno rimarginate. È una preghiera laica, un'invocazione alla bontà dell'uomo, alla sua intelligenza, alla sua capacità di esercitare solidarietà e rispetto, per gli altri e per l'ambiente. Che il "nuovo" millennio (ormai non più nuovissimo) porti con sé quella meta finale dell'umanità, quell'apice dello sviluppo mondiale che non contempli più oppressione dell'uomo sull'uomo, minorità delle donne, distruzione dell'ambiente e insalubrità dei luoghi di vita, sfruttamento violento e distribuzione iniqua delle risorse è probabilmente una pia illusione. Eppure, che sia dietro l'angolo delle ere geologiche (solo qualche secolo o millennio più avanti di ora) o che sia un giorno a cui ci avvicineremo asintoticamente per sempre, quel giorno «saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che abbiano volontà di giustizia e volontà di bellezza, che siano nati dove siano nati e abbiano vissuto quando abbiano vissuto, senza che importino neppure un pochino le frontiere delle cartina geografica o del tempo».

Con questo suo dolcissimo ed umano manifesto vogliamo ricordare Galeano e con lui e per lui vogliamo continuare a sognare questo mondo (di certo possibile, forse a venire) in cui i dannati della terra ne saranno i padroni, in cui gli oppressori saranno rovesciati da chi è sempre stato oppresso. Insomma in cui «le macchine saranno investite dai cani».

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