giovedì 14 gennaio 2016

Il fuoco della "vendetta ebrea": Quentin Tarantino ed Erri De Luca

Tarantino è come un incrocio stradale: un punto collegato a molti altri dalla linea retta di una citazione, di un tributo e di un furtarello musicale o scenografico. Tutti sanno delle colonne sonore rubate ai western degli anni '70, della tuta gialla che Beatrix Kiddo ha ereditato dall'ultimo film incompiuto con Bruce Lee, "Game of death", degli zoom improvvisi sui visi caratteristici di certa filmografia di serie B. E un regista come lui non merita che di essere citato e parodiato a sua volta, dai Simpson ai nostri Aldo Giovanni e Giacomo (in "Così è la vita" ma anche, di striscio, nel più recente e imbarazzante "La banda dei Babbi Natale"). Mentre aspettiamo l'uscita nelle sale del nuovo film di Tarantino, "The Hateful Eight", e pregustiamo la nuova caccia alla citazione, vi racconto di un'analogia che ho scovato altrove e di cui, credo, nessuno è responsabile. È una coincidenza che forse rivela qualcosa di un comune sentire, dell'immaginario come del sentimento nei confronti della storia, e uno come Tarantino non potrà comunque offendersene.
Ho rivisto in questi giorni "Bastardi senza gloria", con i suoi dialoghi di una stupefacente lentezza e i suoi tocchi perfino grotteschi. Per coincidenza, leggevo "Tu, mio" di Erri De Luca. Dalle pagine e dallo schermo è schizzata fuori una rete di analogie che mi lascia ben sperare: ripensare ai nazisti, all'Olocausto (di cui si fanno portavoce personaggi ebrei, ma che come tutti sanno ha coinvolto mille categorie deboli, dai rom ai disabili, dagli omosessuali agli oppositori politici), all'ideologia dello sterminio programmato, suscita in qualcuno (o in molti) un forte rifiuto? Un rigetto quasi fisico, che arriva al desiderio, pienamente tarantiniano, della vendetta?
Guardando la televisione, con le piazze piene di giovani e meno giovani inneggianti all'estrema destra, con pseudopolitici locali e meno locali invocanti ruspe per schiacciare zingari e immigrati, con prove quotidiane dell'acuirsi di intolleranze, pregiudizi e violenze che l'Europa e l'Italia hanno già conosciuto, mi auguro di sì. E che due autori così diversi come Erri De Luca e Quentin Tarantino abbiano vestito di colori simili il loro sentimento antinazista mi fa sperare che anche in strati e gruppi altrettanto diversi della società si coltivi un'opposizione almeno passionale se non ideologica a razzismi e neofascismi di ogni sorta.
"Bastardi senza gloria" (2009) è una fantasticheria, una fanfiction che Tarantino ha scritto per correggere la storia: il gioco di un bambino che si diverte a immaginare come sarebbe potuta andare. Non che sia andata troppo male: gli alleati inglesi, statunitensi e sovietici (i grandi assenti dalla pellicola di Tarantino, nonostante siano il popolo che alla lotta contro Hitler ha versato il maggior tributo di morti) hanno esorcizzato l'Europa dal mostro nero, che oggi torna sotto forme più velate e prive di reali antagonisti. Ma Tarantino non avrebbe riscritto la storia a suon di battaglie: i singoli eroi vendicativi sono quelli a cui ci ha abituato. Abbiamo allora i Bastardi guidati dal tenente Aldo Raine (Brad Pitt), ebrei americani, tedeschi e austriaci. E abbiamo Shoshanna Dreyfus, ragazza ebrea francese sfuggita alla strage della sua famiglia. Gli ebrei di Tarantino non si limitano a tentare di aver salva la vita o di salvarla a terzi: quello che vogliono è una vendetta sanguinaria, implacabile, splatter. I Bastardi uccidono i nazisti colpendoli a morte con una mazza da baseball (simbolo degli Stati Uniti contemporanei) e poi ne prendono gli scalpi (tocco western, riferimento al passato storico dello stesso Paese e alle origini Apache di Aldo Raine). La violenza è diffusa ma, quando tutte le mele marce si riuniscono in un solo cesto (come dice il generale Ed Fenech, così battezzato in onore della bellissima protagonista delle nostre commedie sexy), cioè quando Hitler, Goering, Goebbels e parte dello stato maggiore tedesco si riuniscono in un cinema per una prima, prende forma un piano circoscritto: fare saltare il cesto.
"Tu, mio" (1998) è un libro ambientato nell'Italia degli anni '50. Il giovane protagonista trascorre l'estate sull'Isola di Ischia, pescando con gli adulti, frequentando la comitiva del cugino Daniele qualche anno più grande e conoscendo ragazze forestiere e altri turisti di passaggio. Tra le nuove conoscenze del gruppetto di ragazzi c'è Haia, una ragazza ebrea che non vuole condividere con nessuno il suo passato doloroso e che riconosce in alcuni gesti del

protagonista la gestualità e il carattere di suo padre. Ciò spinge Haia ad aprirsi a lui, rivelandogli i suoi segreti di dolore e guerra, e lui a identificarsi con la causa di lei, degli ebrei sterminati, degli altri perseguitati, degli jugoslavi uccisi dagli italiani nelle terre occupate. I passaggi chiave dell'adolescenza del protagonista si intrecciano alla sua voglia di conoscere la storia per correggerla, ai racconti di guerra e all'odio verso i nazisti che, tolta l'uniforme, vengono a passare le vacanze sull'isola.
Ma che i nazisti si siano spogliati dell'uniforme non importa al protagonista di "Tu, mio", che prende di mira i tedeschi ubriachi che cantano l'inno delle SS in presenza di Haia e del loro gruppo. Né importa al tenente Aldo Raine, che per rendere i suoi nazisti riconoscibili per sempre li marchia in fronte con una cicatrice a forma di svastica. In entrambe le storie si incarna non solo la distanza dai persecutori, ma il bisogno di affrontarli e di farlo con il mezzo più brutale, che non si limiti ad ucciderli ma addirittura si proponga di non lasciarne traccia: lo strumento purificatore dei riti pagani, il "fuoco distruggitore" degli inni fascisti, ritorto contro gli aggressori. Lo stesso fuoco dei forni crematori in cui venivano fatti sparire i corpi dei deportati è, in Erri De Luca come in Tarantino, lo strumento della vendetta. Il giovane pescatore di Ischia si carica il fardello della famiglia sterminata di Haia, si identifica con suo padre e si vendica contro i tedeschi usando la benzina. I Bastardi si introducono nel cinema della prima carichi di armi da fuoco ed esplosivo. Shoshanna, sopravvissuta in incognito e ormai proprietaria del cinema, decide di dare fuoco a trecento pellicole altamente infiammabili bloccando tutti gli spettatori all'interno.
Il fuoco appare come un correttore della storia: uno strumento di morte, ma anche lo strumento dell'oblio. L'obiettivo è sì uccidere i nazisti, ma illudersi di cancellare, con loro, i crimini che hanno commesso, spazzarli via dalla storia, eliminare materialmente e storicamente lo sbaglio commesso appoggiandoli, lasciando che prendessero piede o semplicemente non resistendo. La vendetta operata col fuoco è una sorta di preghiera retroattiva, che esegue contro il male l'operazione esorcistica del dare fuoco, che dovrebbe farlo sparire, e a ciò accompagna il dolore inflitto ai nazisti come vendetta personale. Al centro del moto vendicativo c'è la figura della figlia, unica sopravvissuta alla famiglia, Haia/Shoshanna: il proiezionista Marcel come il piccolo pescatore, figure non esplicitate di amante/compagno, sono complici ed esecutori di una vendetta che non li riguarda direttamente (uno non ha subito persecuzioni in prima persona, l'altro è troppo giovane per ricordare la guerra). Il contrappasso è perfetto: il grido "Feuer!", fuoco, che i nazisti gridavano durante le esecuzioni sommarie è lo stesso che si alza dalla loro pensione data alle fiamme e durante il rogo nel cinema di Shoshanna. Io spero che nello stesso modo siano restituite ai nazisti di tutti i tipi le fiamme dei Bücherverbrennungen, i roghi di libri proibiti che cercarono di distruggere la cultura contraria al regime: il giusto contrappasso sono la lettura e lo studio, di quei libri e della storia (da cui il protagonista di "Tu, mio" è ossessionato e su cui fa domande agli adulti e agli ex-combattenti). La giusta misura con cui dovremmo restituire al nazifascismo il suo "fuoco distruggitore" è proprio quella che fa da sostrato al film di Tarantino come al libro di Erri De Luca: resistere e combattere. Non dimenticare il nazismo e i suoi delitti, ma bruciarlo dalla storia, farlo sparire dalle forme striscianti del presente, dai giudizi qualunquistici e dagli stereotipi, impedire che torni ad incarnarsi.

2 commenti:

  1. Ho i miei dubbi su Erri De Luca che non vede non sente e non parla dei nazi-fasci Sionisti, del sangue che le loro lobby stanno facendo versare in tutto il mondo e il furto raccrapicciante con il muro sotto gli occhi del mondo in Israele in Terra Palestinese !! Una contradizione unica poi, lottare a fianco dei NO TAV, questo E PURO OPPORTUNISMO. GARDNER DICEVA CHE QUANDO SCRIVI FALSITà IN UN ROMANZO SEI DA CONSIDERARE UN LADRO A TUTTI GLI EFFETTTI !

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    1. Ciao! Hai ragione ad avere dei dubbi su Erri De Luca in generale, e in particolare sulla questione sionista possiamo anche avere delle amare certezze. Tuttavia, questo post non vuole essere un'apologia di Erri De Luca, né un'analisi completa delle sue posizioni. È semplicemente un post basato su un contenuto molto circoscritto, quello di un singolo romanzo e sulle sue somiglianze con un film. In altra sede, in un post sulla questione palestinese, sarà nostro piacere criticare le posizioni che riteniamo, come te, ingiuste. Grazie per aver condiviso la tua opinione con noi!

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