mercoledì 24 giugno 2015

Ogni parola è menzogna: "Persona" di Ingmar Bergman

Etimologicamente, la "persona" è la maschera teatrale, il personaggio. È Elisabeth, attrice teatrale, che rinuncia alla parola e diventa oggetto di cure psichiatriche e poi dell'assistenza di Alma, infermiera che deve occuparsi di lei ma in qualche modo riceve a sua volta un'assistenza, quella dell'ascolto. Il silenzio infrangibile di Elisabeth è per Alma un'occasione unica per farsi, finalmente, ascoltare: e riversa sulla paziente silenziosa le confidenze che, forse, non aveva riservato neppure a se stessa: così, quello che è di fatto un lungo monologo sembra diventare tale anche di diritto, e quel fiducioso raccontare-senza-aspettare-risposta sembra semplicemente un raccontare a se stessa, un parlare senza falsi pudori davanti allo specchio.
Anche Elisabeth è un personaggio tutt'altro che unitario: se Alma è quanto meno duplice (o al contrario, tende a riunire una duplicità di soggetti distinti nell'unità, come mostra il primo piano dei due mezzi visi che ne compongono uno solo), Elisabeth sembra oscillare tra essere Una e Centomila.
Certo, lei è persona/personaggio. Di più: lei è attrice (e non televisiva o di cinema, ma teatrale: proprio come la maschera che amplificava la voce e la parola nei teatri romani, che si chiamava appunto "persona"), quindi è una molteplicità di personaggi. È un personaggio frantumato, disperatamente stratificato: il suo essere individuale è formato da diversi livelli incrostati freudianamente gli uni sugli altri. La struttura stessa del film, rizomatica e lacunosa, è fatta di immagini inspiegabili che affiorano e, nascosti ma non troppo, il fotogramma di un pene eretto, quello di una vulva: l'inconscio è la materia prima del film, il primordiale e ingovernabile es freudiano, con il suo bagaglio di pensieri e sentimenti repressi e come sconosciuti, di associazioni libere e incomprensibili di immagini e riferimenti, di istintualità inconfessabili. Non a caso, Alma rivela ad Elisabeth e presumibilmente solo ad Elisabeth, che la ascolta interessata e muta, un episodio intimo che l'ha riguardata: un'orgia in compagnia di una ragazza appena conosciuta e due ragazzi mai visti prima, consumata alle spalle del fidanzato ignaro e che tale resterà. L'inconfessabile non sembrerebbe fatto per essere condiviso: la rivelazione fatta da Alma a Elisabeth sembra un guardarsi in faccia della sola Alma, un soliloquio fatto per il proprio solo beneficio, l'estrazione di stati d'animo mai rivelati e in fondo mai superati dalla stessa giovane donna che li ha messi in atto.



Persona mette in scena la diatriba tra questo es elementare e caotico che informa tutta la pellicola e l'io "civilizzato" e consapevole delle due donne; tra pulsioni e desideri (la maternità, la pienezza) e la loro repressione (l'aborto volontario in un caso, il rifiuto del bambino e l'odio verso di lui nell'altro); tra la trasparenza (il mettersi a nudo di Alma, il mettere a nudo i sentimenti di Elisabeth) e la finzione, il mascheramento, la convinzione che «ogni parola è menzogna». Ne esce un individuo sbriciolato: la crisi della maschera-soggetto si riflette nella pellicola che brucia e si accartoccia su di sé in occasione di un primo piano, l'inquadratura che più di ogni altra focalizza l'attenzione sulla fisionomia fisica e caratteriale del singolo personaggio, sulla sua unicità individuale.
La finzione, la maschera non sembrano qualcosa di negativo di cui il soggetto dovrebbe liberarsi per rivelarsi nella sua verità: sono parte del soggetto, contribuiscono a dargli l'aspetto e il contenuto che ha. La paura di essere «smascherata» che la dottoressa attribuisce a Elisabeth non è, credo, paura di essere vista per ciò che è, di rimanere priva di una facciata gradevole e vulnerabile all'esposizione delle proprie piccolezze: è paura di non essere più. È la paura di perdere la propria identità, di sciogliersi e sparire nell'infinito frantumarsi della propria soggettività. Speculare e complementare è la preoccupazione di Alma: «si può essere due persone?». È ancora la crisi del soggetto, la sua difficoltà di mantenersi e riconoscersi uno, tra i due, i centomila e il nessuno. È su questa stessa sensazione che si imbastisce l'osservazione di Alma sulla fisionomia di Elisabeth che sembra cambiare mentre lei dorme: anche nell'aspetto esteriore l'identità del sé con se stesso sembra sfuggente, caduca, passibile di deterioramento; l'innocuo passaggio dallo stato di veglia (presenza lucida, consapevolezza) a quello di sonno (opacità, passività) basta a incrinare, seppure per poco, seppure apparentemente, l'identità del soggetto con sé stesso.
Il bianco e nero è scheletrico, l'immagine traballante, continuamente deformata. Il nastro di pellicola frequentemente interrotto da frammenti che sembrano non c'entrare nulla. I confini tra il sé e l'altro sono estremamente labili, gli istanti di conflittualità tra Elisabeth e Alma si risolvono in una sensazione di autolesionismo. A mettere in crisi il soggetto, da un lato è la propria complessità che a volte lo rende auto-irriconoscibile; dall'altro lato, è l'affrontare la parola-menzogna di cui ogni altro soggetto è, come lui, portatore. Si tratta di quella stessa parola (voce) che Elisabeth (come maschera teatrale) si rifiuta di continuare ad utilizzare, e sacrificando la quale può avvicinarsi come ascoltatrice ad Alma, che di fronte al silenzio altrui ha l'impressione di parlare con se stessa, di ricomporre in sé la frattura identitaria; di superare la paura dell'immagine che gli altri, pirandellianamente, possono farsi di lei, contribuendo ancora alla sua frantumazione soggettiva.

«Tu insegui un sogno disperato, questo è il tuo tormento: tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te e vigile, e nello stesso tempo ti rendi conto dell'abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa

2 commenti:

  1. L'ho amato. "Persona" è di una forza tale che, se lasci ti entri dentro, non c'è più modo di liberarsene.
    Mi è piaciuto ricordarlo attraverso queste parole; trovo che ne restituiscano la potenza, grazie!

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    1. Che commento meraviglioso! Ti ringrazio per aver letto e per avere dedicato un momento a darmi questa piccola soddisfazione ;-) Benvenuta su Un Cane Andaluso!

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